97. Neoplasie della tuba

In: Manuale di Oncologia Chirurgica.
Autori: V. Staudacher, B. Andreoni, U. Veronesi, A. Costa. Ed Masson, Milano.
cap. 35, pag. 667-668. 1994
( in coll. A. Ferrari )
Summary: Le neoplasie maligne vulvari rappresentano circa il 3.5% di tutti i tumori dell’apparato genitale femminile e presentano la massima incidenza in età avanzata (età medi 60 anni). Ai fini di una diagnosi precoce è necessario ricorrere all’ esame bioptico in presenza di qualsiasi lesione vulvare di incerta natura. Le lesioni benigne della vulva presentano un certo interesse nel campo delle diagnosi differenziali. I condilomi, che costituiscono lesioni vulvari benigne trasmesse dal papilloma virus vengono posti in relazione con la successiva comparsa del carcinoma squamo-cellulare della vulva. Le distrofie vulvari comportano quasi sempre una sclerosi del sottocute e l’aspetto dei genitali esterni presenta spesso una ipercheratosi (leucoplachia) o una ipertrofia degli strati epidermici superficiali (craurosi vulvare). La leucoplachia e la craurosi corrispondono istologicamente ad una lesione denominata ” lichen scleroso” caratterizzata da una progressiva sclerosi del derma. Spesso la presenza di una lesione vulvare distrofica accompagnata da prurito o rossore può avere un significato precanceroso o può segnalare la presenza del carcinoma in situ. Almeno il 20% delle neoplasie maligne vulvari sono precedute da una distrofia. Il carcinoma in situ raggruppa lesioni descritte in passato sotto varie dizioni: morbo di Bowen, eritroplasia di Queyrat, malattia di Paget extramammaria. La neoplasie intraepiteliale della vulva viene definita con il termine VIN. Il 50% di queste pazienti presenta un’età media inferiore a 40 anni e in un terzo dei casi di VIN è stata dimostrata la coesitenza di un’infezione da papilloma virus. Per la scelta di un’area significativa da biopsiare si fa ricorso spesso al test di Collins legato all’affinità nucleare del blu di toluidina. Il carcinoma microinvasivo della vulva costituisce un’ entità a se stante. Quando l’invasione del corion vulvare è uguale o inferiore a un millimetro non si verifica coinvolgimento linfonodale neoplastico. Fra 1 e 3 mm di invasione l’incidenza di metastasi è pari al 4% mentre fra 3 e 5 mm cresce significativamente la percentuale di coinvolgimento neoplastico linfonodale. Il tumore maligno più frequente della vulva è il carcinoma squamocellulare che rappresenta circa l’85% delle neoplasie maligne. Molto più rari sono il carcinoma basocellulare, spesso plurifocale e con malignità solo locale, l’adencarcinoma delle ghiandole di Bartholin, il melanoma e il sarcoma. Dal punto di vista macroscopico la lesione vulvare può avere un’aspetto vegetante o ulcerato endofitico. Nel primo caso anche in presenza di grossi volumi tumorali la prognosi può essere buona se il sottocute è poco infiltrato. Nei tumori a sviluppo endofitico e ragadiforme, anche in caso di piccoli volumi, può verificarsi precocemente una embolizzazione linfatica. Lo staging clinico e chirugico prevede l’asportazione del focolaio neoplastico primitivo e la linfadenectomia relativa alle stazioni inguinali superficiali. Solo nel 3% dei casi è descritto un coinvolgimento dei linfonod pelvici quando i linfonodi vaginali sono negativi. Mentre la classificazione TNM della UICC si basa su una valutazione clinica e/o anatomochirurgica, gli stadi FIGO si basano solo su una valutazione chirurgica. I stadio FIGO: tumore confinato alla vulva di diametro inferiore o uguale a 2 cm. II stadio: tumore confinato alla vulva di diametro superiore a 2 cm con linfonodi clinicamente non sospetti. III stadio: tumore di qualsiasi diametro esteso all’uretra, alla vagina, al perineo e all’ano oppure con linfonodi inguinofemorali sospetti unilateralmente. IV stadio A: tumore che invade l’uretra superiore, la mucosa vescicale o rettale le ossa del bacino e/o bilateralmente i linfonodi dell’inguine. IV stadio b: metastasi a distanza includendo i linfonodi pelvici. La sopravvivenza media a 5 anni dal I al IV stadi è rispettivamenta pari al 70, 50, 30 e 10%. Nel carcinoma in situ la terapia consiste in una semplice escissione locale. Rutledge ha proposto l’impiego della skinning vulvectomy preservando il grasso sottocutaneo, lo strato muscolare e le strutture ghiandolari. Nel carcinoma microinvasivo con diametro inferiore a 2 cm, senza diffusione linfoghiandolare e con invasione inferiore a 2 mm è sufficente una ampia escissione locale. Quando vi è un’invasione di profondità compresa fra 2 e 5 mm si può eseguire come suggerito da Mikuta e Di Saia una escissione locale con linfadenectomia inguinale superficiale del lato interessato. Nel carcinoma invasivo la terapia primaria è essenzialmente chirurgica. In questi casi è necessario giungere alla fascia vulvare profonda ed è necessario rimuovere tutte le linfoghiandole che drenano l’area neoplastica. La vulvectomia radicale con asportazione in monoblocco dei linfonodi inguinofemorali è gravata da una elevata incideza di deiscenze della ferita (85% dei casi), da linfedema cronico agli arti inferiori (30-70%) e prolasso genitale o stenosi dell’introito nel 15-20% dei casi. Attualmente si afferma la tendenza ad impiegare la vulvectomia radicale modificata con incisioni marginali separate degli inguini. Con qesta tecnica le recidive locali risultano del 4.4% vs il 2.2% utilizzando la tecnica tradizionale come conferma l’esperienza di Hoffman e Roberts (1992). La negatività del reperto linfinodale si accompagna ad una sopravvivenza a 5 anni nel 90% dei casi vs il 25-30% quando i linfonodi inguinali sono positivi. Tuttavia il nostro gruppo ha dimostrato che: la positività linfonodale intrcapsulare o le metastasi inferiori a 5mm evidenziano una sopravvivenza del 90% a 5 anni dopo radoterapia contro il 20% dei casi con metastasi extracapsulari o superiori a 15mm (Gynecol. Oncol. 1992). E’ stato proposto l’impiego di 5FU in perfusione continua durante la radioterapia eventualmente associato a Mitomicina-C quale sensibilizzatore per il controllo delle neoplasie avanzate. Quando il tumore vulvare evidenzia linfonodi apparentemente positivi o l’asportazione della neoplasia richiedesse il sacrificio degli sfinteri si preferisce spesso utilizzare la chemio-radioterapia in prima istanza. Nel melanoma maligno della vulva non sono state descritte metastasi linfonodali al I e II livello della classificazione di Clark ovverosia in assenza di invasione dell’epitelio o quando l’invasione è inferiore a 1mm. La terapia oggi proposta consiste nella incisione locale ampia associata a linfadenectomia inguinale che non risulta di per sè curativa pochè questa neoplasia ha una diffusione prevalentemente angiotropa. L’impiego della chemioterapia con deticene ha evidenziato una regressione neoplastica nel 20-25% delle pazienti con malattia disseminata. Il carcinoma della ghiandola di Bartholin si verifica nel 1-2% di tutti i tumori vulvarici e viene trattato con la vulvectomia radicale e la linfadenectomia inguinale bilaterale. L’escissione locale della neoplasia deve essere sufficentemente ampia per l’ubicazione profonda di questo tumore.